EPDO - Storia di ORISTANO - EPDO  Piccola Città di Beppe Meloni
"Storia  e  racconti  di  quella  Oristano  che  non  c'è  più"

 

beppe meloni
 
 
Beppe Meloni (Oristano 1932) ha lavorato al Credito Italiano sino al 1994. Per oltre un ventennio ha svolto attività sindacale nel settore bancario. Giornalista pubblicista è stato corrispondente de "Il Quotidiano sardo di Cagliari e de "Il Tempo" di Roma. Redattore del mensile "La Provincia di Oristano, ha collaborato con "L'Unione Sarda" e "La Nuova Sardegna". Ha all'attivo diverse pubblicazioni sull' Arte e Cultura del territorio Arborense.
 
 
 
 
PICCOLA CITTA’

Oristano, città guida del territorio?

Quando l’orizzonte della vita è offuscato da una crisi economico sociale e per molti aspetto etico-morale, di una gravità eccezionale, pari a quella lontanissima degli anni Trenta e del doloroso secondo dopoguerra, niente di meglio che un ritorno al passato. Non per amore di restaurazione, ma per non ripetere gli errori di una volta e imboccare strade nuove che ci portino fuori dal labirinto. Il primo sguardo è alla città. Oristano da tempo sembra aver perso la sua anima. Manca ancora la capacità di fare sintesi, e pesa molto l’individualismo sempre presente nelle scelte amministrative che contano. Mentre l’apporto esterno e la solidarietà sono affidate soprattutto alla presenza di un volontariato molto attivo. Associazioni culturali e di solidarietà sociale, che sono cresciute per numero e qualità, ma vagano ancora senza una sede comune, senza “fissa dimora” come scriverebbe un “mattinale” della questura. Tutto ciò mentre è rimasto lettera morta uno degli obiettivi di fondo del “ piano di sviluppo 2005-2010” della Provincia, quando affermava che “la cultura e la valorizzazione del capitale umano e sociale rappresentano i cardini dell’azione di governo della provincia di Oristano”. Quel che serve è ricondurre anzitutto le scelte amministrative della città capoluogo a una organica visione di “città guida del territorio” che fino ad oggi è stata completamente assente. Fino all’insediamento della giunta Tendas ha finito per prevalere nelle scelte amministrative solo rissosità e inconcludenza. La grande DC di una volta ha lasciato troppi arrivisti in campo, ma non ha saputo produrre una classe politica degna di questo nome. E’ tutto ciò ha finito per pesare negativamente su Provincia e Comune. Un insieme di variopinte correnti, tutte peraltro riconducibili alla vecchia DC, a caccia di visibilità e di carriera. La politica non ha più servito la città ma si è servita di essa per i personalismi degli emergenti di turno. Il centro-sinistra dal canto suo ha finito per vivere ai margini della vita politica locale e solo in questi ultimi anni ha cominciato a riorganizzarsi attorno al partito democratico. Sino alla riconquista del Comune con la formazione della giunta Tendas. Ricompattarsi non sarà facile, e le schermaglie polemiche di questi giorni non aiutano a costruire. Anche perché Oristano è sempre stata ed è ancora una città moderata e piccolo-borghese, con larga presenza di nostalgie passate. Città “dai tempi lunghi e dalle lunghe attese”, come raccontavano i cronisti del primo Novecento. Non a casa dalle nostre parti è nato prima il “sardo-fascismo” e nel secondo dopoguerra la DC più forte dell’isola, che spesso ha conquistato la maggioranza assoluta dei consensi. Gli anni del centro-sinistra restano comunque a livello comunale quelli che nel nome dell’unità hanno favorito la battaglia unitaria per la quarta provincia. La cui istituzione sembrava poter favorire la strada dello sviluppo territoriale. Un sogno, questo, di breve durata. Poi alla fine degli anni Novanta dopo la giunta Scarpa che aveva tentato di ricomporre una sintesi di politica unitaria, sotto il segno del risveglio e della partecipazione, tutto è precipitato. Con giunte comunali e provinciali insufficienti e talvolta esistenti solo sulla carta. E tutto è proseguito verso un declino che oggi appare inarrestabile. Mentre l’Oristanese conta meno di zero in campo regionale, sempre più marginalizzato e fuori dalla scena politica sarda. Poi ci sono state le scelte politiche sbagliate, vedi aeroporto, la telenovela dei Puc, l’agro alimentare in eterna crisi, l’edilizia bloccata. E quando si blocca l’edilizia la città muore. Oggi con la grave crisi in atto e le recente abolizione della provincia, è la città capoluogo che deve saper prendere in mano il suo futuro. Anche se non sarà facile uscire da una crisi così profonda in tempi brevi. Si dice che nella vita il pessimismo non è mai il migliore alleato per andare avanti e riprendere un cammino di progresso. Ma di grazia, che altro si può fare oggi per Oristano?
 
 
 
 
“Piccola Città”

“Al Rimedio, per ricordare monsignor Felice Mastino, missionario della carità”

Nelle sue riflessioni sulle vicende che hanno affollato la piccola storia di casa nostra, Giannino Martinez, cronista d’eccezione della Oristano del passato, si domandava spesso come avesse fatto monsignor Felice Mastino , umile sacerdote, pieno di attivismo e di umanità, a realizzare negli anni difficili del secondo dopoguerra, a fianco del santuario del Rimedio, sempre molto caro agli oristanesi e non solo, quell’opera unica e grandiosa per la Sardegna di quei tempi lontani, l’Istituto Santa Maria Bambina a favore dell’infanzia poliomielitica della nostra Regione. Quel che è certo e ampiamente documentato, è che davanti a questo autentico missionario della carità si sono aperte facilmente molte porte. Da quelle della Regione Sarda, delle prefetture, del governo nazionale e persino del Vaticano. Non a caso, monsignor Angelo Zonchello, oggi ultranovantenne, e a lungo rettore della Basilica, nel novembre del 1992, nel ventennale della sua scomparsa, definì Felice Mastino sulle colonne del settimanale diocesano “Vita Nostra” in un affettuoso amarcord “sacerdote esemplare, docente inimitabile, uomo integerrimo, collega leale”. Del resto, la sua biografia, non è altro che lo specchio fedele di un attivismo speso a favore del prossimo, in una missione sacerdotale di altissima intensità. Felice Mastino (Milis 11.11.1889- Oristano 20.03.1971) laurea in Teologia al Seminario Romano e Presbiteriato ricevuto dal cardinale Basilio Pompili, è stato a lungo rettore del Seminario cittadino. Al quale ha lasciato in eredità una buona raccolta di libri, compresa l’Enciclopedia Treccani. Ha ricostituito a suo tempo il consiglio di amministrazione della Casa di Riposo “Vandalino Casu”, assumendo le Suore di San Vincenzo. E riuscendo persino a “congedare” una certa signora Elisa che aveva trasformato la Casa di Riposo in un Asilo per circa una quindicina di poveri, dando contemporaneamente ospitalità a persone di dubbia moralità. Per decenni presidente dell’Asilo Infantile Sant’Antonio, e negli anni cinquanta a lungo presidente dell’Ente Comunale di Assistenza, monsignor Mastino ha concluso la sua preziosa attività facendo sorgere l’Istituto Santa Maria Bambina, un complesso dotato delle più moderne strutture riabilitative. Che verrà sostituito negli anni novanta dalle strutture ospedaliere attuali con una nuova convenzione con la ASL di Oristano per “l’erogazione delle prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali”. Nel giugno del 2003 infine vengono portati a sessanta i posti letto della struttura e così il centro medico alle porte di Oristano è diventato una realtà moderna e funzionale della Sardegna del Duemila. Nel ventennale della scomparsa, il 20 novembre 1992, i resti mortali di monsignor Mastino sono stati traslati dal cimitero di San Pietro per essere inumati nella basilica del Rimedio. La scritta in latino sulla lapide è un omaggio di un suo allievo carissimo, il professor Bruno Manai, a lungo preside del Liceo De Castro di Oristano: Can. Feliciis Mastino insignis ecclesiae praelati viri morum innocentia amplitudine doctrinae in pauperis liberalitate ad mirabilis arborensium pietas sollecitudo memor corpus in Christi spe revicturum uc transferendum curvati, in virginis dei parae a remedio noncupatae sanctuarium apud salutarem illam domum in qua illius voluntate infirma puerorum membra fideliter curantur.

 



“Non facciamo morire la sagra di Santa Croce”

Cancellato, come si rileva dalla stampa, l’appuntamento in piazza Roma de “is barracas de Santa Cruxi”, lodevole iniziativa dell’ “associazione culturale festeggiamenti S. Croce”, con raccolta fondi, per far vivere ancora l’antica sagra, sembra proprio che Oristano, città dai tempi lunghi e dalle lunghe attese e anche un po’ distratta, stia per mandare definitivamente in archivio una parte non trascurabile della sua “piccola storia”. Quella della sagra di S. Croce, una delle più antiche e importanti della Sardegna. Se è vero che di essa si parla diffusamente nel numero speciale dedicato alle “Cento città d’Italia” supplemento mensile illustrato del “Secolo”quotidiano milanese, che porta la data del 30 giugno 1899. Anche il commercio del bestiame, si legge, è abbastanza florido a Oristano. Si tiene spesso mercato al quale accorrono proprietari da tutti i paesi del Campidano. Una vera fiera, poi, con premi ai migliori espositori di bestiame si svolge in settembre per la Fiera di S. Croce. Festa grande e anche festa del ritorno per tanti oristanesi che vivono nella penisola e all’estero. Una sagra dal sapore antico che ha vissuto i suoi momenti migliori sino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Definita da Giorgio Farris, attento custode della memoria storica arborense, “momento economico, commerciale, ma anche culturale, perché la Sagra di S. Croce offriva l’occasione per conoscere novità tecniche, avvenimenti, sperimentazioni, scambi di esperienze in tutti i settori legati non solo alla vita contadina e pastorale. Occasione propria per incontrarsi, fare verifiche, programmare. Nel quale, concludeva lo scrittore, tutti diventano protagonisti di un momento culturale, legato allo sviluppo economico dell’isola.” Nel secondo dopoguerra era stato il “Comitato per la Sagra di S. Croce”a riprendere le fila dell’organizzazione della sagra settembrina. Composto da un gruppo di oristanesi “veraci”e tanti inurbati. Rodolfo Manni, Pippo Piana, Antonio Cozzoli, Giannino Martinez, Antonio Loi, vecchio atleta cagliaritano, Francesco Bianchina, più avanti ideatore del circuito motociclistico internazionale di Torre Grande, gli “inseparabili” Libero Poddie e Saverio Pieri, Anselmo Casu, Salvatore Manconi, Geppeto Loffredo, Tiberio Lecca, Ferdinando Fantoni, Luciano Loddo e Federico Giongo. Che sono poi gli “antesignani”dell’A.T.A (Associazione Turistica Arborense) poi “Pro Loco”che vede la luce il 6 giugno 1954 su iniziativa del consigliere regionale Gino Carloni. L’impegno maggiore del Comitato era rivolto anzitutto alla “tre giorni” ippica che si svolgeva all’ippodromo di Sa Rodia, senza sponsorizzazioni di sorta ma con una organizzazione alla buona, fatta in casa. Le riunioni del Comitato si svolgevano tra la macelleria di Peppe Ignazio Serra e la farmacia dei fratelli Sanna in piazza Roma, accanto alle “loggette” del mercato. Sono gli anni che al foro boario apre “lo sportello speciale”del Credito Italiano, la prima banca che inaugura i suoi sportelli il 7 febbraio 1914 nei locali di Via Vittorio Emanuele di fronte al teatro San Martino. Primo direttore il milanese Roberto Gandini, cassiere-vice direttore l’oristanese Alfredo Loffredo. Che si dimetterà alcuni anni dopo per non aderire al sindacato fascista. Una foto “storica”di quegli anni inquadra dietro il bancone dello sportello speciale Fabio Cominacini, Carlo Rosas, e il cassiere Cesare Lutzu, note figure di bancari del tempo. Negli anni Duemila, il 26 giugno 2003 è nata ufficialmente “L’Associazione culturale festeggiamenti S.Croce” organizzazione di volontariato senza fini di lucro, che si propone di valorizzare l’antica sagra oristanese”. Come risulta dall’atto costitutivo stilato davanti al notaio Edoardo Mulas Pellerano, al quarto piano dello studio di Corso Umberto n.30. In quel palazzo Falchi, dove agli inizi del 900 ha operato una figura importante di quella Oristano che non c’è più, il capomastro Salvatore Sanna noto Corriazzu. Rientrato dall’America con un prezioso bagaglio di esperienze, il costruttore Sanna contribuisce a realizzare per conto di Giovanni Falchi, uno dei “signori”di Oristano, e su progetto di quel magnifico ingegno che è stato Giorgio Luigi Pintus, l’edificio a quattro piani in via Dritta. Come ricorda Peppetto Pau, ”primo esempio di costruzione in cemento armato in città”. Questa in breve la cronaca antica e recente della Sagra di S.Croce. Che un gruppo di appassionati, riuniti in associazione, ha provato per oltre un decennio a riscattare dalla polvere dei ricordi, per riportarla ai suoi antichi splendori. Facendola rivivere, come mezzo secolo fa, tra i resti del vecchio foro boario e i canti sardi delle notti settembrine.
 
 
 
 
Amarcord di una città che non c’è più

“Quel Ferragosto a Torregrande tra il fascismo, la guerra e la democrazia”

Avevo quasi otto anni quando ho visto per la prima volta il mare a Torre Grande. Lontanissima estate 1940, quando era appena scoppiata la guerra, e il fascismo, con il mito della forza, imperava su un Paese disorientato e impaurito. Andare al mare era, allora, privilegio di pochi fortunati, e io “Figlio della Lupa” lo sono stato grazie alla Colonia Marina Littoria, istituita, come era scritto su un grande cartellone, dal P.N.F.di Oristano. Il “postale della SATAS (Soc. An. Trasp. Automob. Sardi), guidato da”pilloni dorau” al secolo Angelino Carta, partiva puntuale alle sette del mattino da piazza Eleonora. Il primo impegno della giornata era la cerimonia dell’alzabandiera, sotto lo sguardo vigile dell’istruttore “Giuanneddu”Casu e dell’ufficiale sanitario Emilio Casula. Poi a Ferragosto, la “marina” come d’incanto si animava, con intere famiglie che per alcuni giorni bivaccano alla meglio sotto il solleone e la grande distesa di sabbia. Quattro lenzuola al vento sotto le stanghe dei carretti all’insù, e il gioco è fatto. Poi via alle grandi mangiate di maccheroni alla sabbia, con contorno di pomodori angurie e meloni. Più avanti, cessati i rumori della guerra, Torregrande rinasce a nuova vita. Sorgono le prime case, la spiaggia si rianima e gli oristanesi si riaccostano al loro mare. Arrivandoci con ogni mezzo, con gli autobus della Satas e della Mutton, in bicicletta, e in carretta, i più giovani anche a piedi, “tagliando” dal boschetto di Pesaria. Con il “nuovo lido” creazione del ragioner Tiberio Lecca, sanlurese intraprendente, Torregrande gareggia alla pari, tra balli notturni, elezioni di miss e animazioni varie, con le spiagge più rinomate del Poetto e Platamona. Anche la città si risveglia con un fervore di iniziative mai visto. Tornano il calcio, i veglioni la Sartiglia e l’antica Sagra di Santa Croce. I neroazzurri della Tharros di tziu Peppino Annis e di Nino Fois “Boncino”, allenatore fatto in casa, partecipano al primo campionato di prima divisione del secondo dopoguerra. E Oristano si ritrova addirittura con tre squadre, Tharros, Ardita e Stella Rossa, emanazione comunista dei fratelli Ugo, Livio e Ivo Loi. Imperversano balli e veglioni al teatro San Martino, alla Mutuo Soccorso, all’ A.G.O. degli universitari locali, all’autorimessa Manca & Ferrari e al cinema Arborea, tutte sale sempre affollate come non mai con le orchestre Girau e Mantiglia che arrivano da Cagliari e la regia di Mister Johnson, il mitico Silvio Sergi. Nel marzo 1945 davanti al tribunale militare di via Parpaglia presieduto dal colonello Gavino Ledda, viene processato un sacerdote, padre Luciano Usai cappellano in Africa Orientale, “la spia venuta dal cielo”, come lo definiscono i cronisti del tempo. Che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 aderisce alla Repubblica Sociale Italiana e si fa paracadutare in Sardegna nelle campagne di Ardauli assieme a un gruppo di volontari fascisti. Catturato e imprigionato sul treno per Alghero, viene condannato a trent’anni di reclusione. Inviato all’Asinara viene liberato e graziato dall’amnistia del ministro Palmiro Togliatti. Morirà l’undici settembre 1981 in Brasile a Jundjiai do Sol in una missione religiosa. Lungo la discesa del Duomo il 3 e il 5 marzo 1946 riappare anche la Sartiglia in edizione rinnovata dopo che il fascismo l’aveva messa nel dimenticatoio. E’ “l’oristanese verace” Giovanni Crucco il Componidori per il Gremio di San Giuseppe. E a “Pratz e is bois” sullo spiazzo del mercato del bestiame, riappare come per miracolo l’antica sagra di Santa Croce, tra bancarelle, muggini arrosto e canti sardi nella notte settembrina. Nel febbraio 1948 per la prima volta nella sua storia, la Tharros disputa un incontro a livello internazionale con il Wiener di Vienna in tournee in Sardegna. Gli Austriaci vincono per dieci a uno. Poi agli inizi degli anni Cinquanta, quelli della “ricostruzione nazionale” scoppia la sfida tra Vespa e Lambretta, ma a Oristano non c’è partita. E Giovanni Cruciani, presidente della nuova Tharros dalla concessionaria di via Tirso organizza il primo Vespa Club dell’isola con gite domenicali sulle strade della Sardegna. Alla fine arriva in città anche il grande cinema, con il film “Faddija” un polpettone di 85 minuti in salsa sarda girato nelle campagne di Riola Sardo. Tra gli attori una bellissima Luisa Rossi ospite fissa al Lido di Torregrande, un tenebroso Otello Toso e persino un americano autentico Bill Tubbs. Poi ci sono i grandi festeggiamenti del Giugno 1951 riservati ai ginnasti del Liceo De Castro guidati da Severino Ibba, reduci dai trionfi del concorso ginnico internazionale scolastico di Firenze, e l’incoronazione della Vergine del Rimedio, svoltasi nella serata di domenica 7 settembre 1952 in una piazza Roma affollata come non mai, con la benedizione del Cardinale Federico Tedeschini. Attività febbrile anche sul versante politico amministrativo con il comitato per la 4° provincia Sarda con capoluogo Oristano che affila le armi per una lunga battaglia e composto dal presidente Giovanni Canalis medico chirurgo, chiare origini sassaresi, giunto in città nel lontano 1926 per dirigere l’Ospedale San Martino, dall’ispiratore del progetto, l’avv. Alfredo Corrias (DC), il cuglieritano Lelio Moretti (Partito Monarchico) Fulvio Sanna origini bonorvesi, (padre di Simonetta, docente all’Università di Sassari ed esponente di spicco del PD sardo) inviato nell’Oristanese assieme alla consorte Pina Brizzi per la riorganizzazione del Partito Comunista, Ninni Fois (PSI), Francesco Pinna Spada (MSI), e l’avvocato Piero Soggiu, che rappresenta il Partito Sardo d’Azione. Si rianima anche il Corso Umberto, la “via dritta” degli oristanesi, con le vetrine di Silvio Solinas (calzature al n. 18), la merceria del commediografo Antonio Garau, i fratelli Ottavio e Settimio Baldino, i tessuti di Pina Martini vedova Di Palma, le oreficerie di Faraone e delle sorelle Dessì. E la ripresa alla grande dello “struscio serale” di studenti, militari e servette è il segno che il peggio è davvero passato.
 
 
 
 
“Festa grande al convento di S.Chiara”

Secondo alcuni storici, il convento delle Clarisse di Santa Chiara è il più antico monastero sorto in Sardegna, e già nel 1345 abitato da tredici suore, provenienti in buona parte da Pisa. Tra i suoi preziosi cimeli, tre sigilli, il più antico risalente al XIV secolo, di forma ogivale, che raffigura S.Chiara in abito francescano, con saio, velo, soggolo e il cordone al fianco sinistro. Regge con la destra una lunga palma e con la sinistra il libro delle “Regole”. Sotto l’edicola lo stemma, a destra l’albero diradicato d’Arborea e a sinistra i pali d’Aragona. Il secondo di forma ovale, contiene al centro l’immagine di S.Chiara sotto lo stemma giudicale, e nella fascetta estrema la scritta “Sigillum Abatissa Minoris Aristagni”. Il terzo sigillo, infine, è in argento a forma di scudo con sopra la corona regale. La scritta “Sigillum S.Clarae Arboren” incornicia lo stemma giudicale con l’albero diradicato a destra e i pali d’Aragona a sinistra. Uno stemma che è stato riprodotto anche nelle travi di copertura della chiesa. C’è poi l’antica campana del coro, con una scritta ancora da decifrare, e una cassetta trecentesca con cinque serrature, che doveva conservare i documenti più importanti del monastero, la Regola di Papa Urbano IV promulgata nel 1263 e recentemente ritrovata. Come ricorda un accurato studio del 1996 di Suor Celina Pau, destinato alla conoscenza della storia e al rispetto per i beni culturali del territorio arborense. Spunti di riflessione storico-religiosa che ritrovano spazio in cronaca, nel giorno della festa di Santa chiara. Che Oristano ricorda sempre con affetto e devozione. E un attenzione particolare all’antico convento a due passi da piazza Roma. Con le solenni celebrazioni religiose officiate da due “cittadini egregi”, monsignor Sergio Pintor, vescovo emerito di Ozieri e padre Salvatore Sanna, Ministro Regionale dei Minori Conventuali.
 
 
 
 
“ Per Gigi il match della vita ”

L’appello agli sportivi oristanesi è apparso qualche giorno fà sulle colonne de “La Nuova”: Gigi Iriu, il vecchio “maestro di pugilato, ha urgente bisogno di sangue. E subito il gran cuore della città si è mobilitato per aiutare il vecchio Gigi, anema e core della noble art di casa nostra. Fondatore nel secondo dopoguerra,1945 o giù di lì, della società pugilistica Folgore. Quando la “noble art”viveva anche in città momenti di massimo splendore, grazie a un “romano de Roma” Spartaco Ricci (Roma 3/4/1920-23/11/1948) che prestava servizio militare in città. Pugile professionista di gran valore, peso leggero, più volte campione italiano di categoria. Dopo lunghe e sofferte vicissitudini con un peregrinare di oltre mezzo secolo, e sempre in locali di fortuna (dal mattatoio comunale alla scuola alberghiera, passando per il vecchio foro boario), la “Folgore Boxe”, creatura di Gigi Iriu, che l’ha fondata, plasmata e fatta vivere, ha finalmente trovato casa nella vecchia palestra della “Ginnastica Tharros” in via Michele Pira. L’antica palestra fondata ”con una grande partecipazione di popolo”, come ricordano le cronache del tempo, il 7 febbraio 1926, grazie alla benevolenza del nobiluomo oristanese don Giovanni Angelo Corrias, alla presenza del commissario prefettizio avvocato Vincenzo Murroni e dell’arcivescovo Giorgio Maria Del Rio. Oggi, grazie alla passione e all’entusiasmo del suo direttore sportivo e allenatore Franco Tomasi, “Chicchino” per gli oristanesi, la Folgore vive una seconda giovinezza. Tomasi,con una carriera alle spalle incorniciata da brillanti successi, prima da dilettante e poi da professionista, unico pugile oristanese a battersi per il titolo italiano professionisti pesi welter e più volte campione sardo, ha raccolto da tempo il testimone. Tomasi sarà il primo a guidare i suoi ragazzi al centro trasfusionale del San Martino. Per sostenere il vecchio “maestro” nella battaglia più difficile della sua vita.
 
 
 
 
Festa grande per la Madonna del Carmine

Non ci vuole molto. Basta allontanarsi un pò da piazza Eleonora per immergersi nel centro storico di casa nostra. E sarà come fare un tuffo nella storia di questa città. Che proprio nella parte più antica ritrova i tesori più belli: dalla magnificenza del Duomo di Santa Maria, alle chiese e ai conventi delle Cappuccine e Santa Chiara, per finire all'Antiquarium al numero 36 di via Parpaglia. Intitolato alla memoria di quell'oristanese egregio che è stato Peppetto Pau, splendido cantore del Sinis. Non a caso Vittorio Angius nel suo "Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna", alla voce Oristano-parrochie urbane, inserisce la chiesa del Carmine fra le "chiese minori", e scrive brevemente di " una chiesa un po' elegante nel suo stile barocco, edifizio eretto dal marchese d'Arcais don Damiano Nurra". Questa chiesa ha ospitato nella attigua costruzione e sino al 1832 quando esso fu soppresso,il convento dei Padri Carmelitani. Oggi ristrutturata è utilizzata assieme al chiostro dalla amministrazione provinciale come sede dei corsi universitari. In seguito il convento è diventato sede della Regia prefettura, e dal 1866 sede del comando dell'arma dei carabinieri. Nella sua "guida storica di Oristano" del 1924 il canonico Antioco Melis la definisce "un vero gioiello costruito tra gli anni che vanno dal 1736 al 1785 quando è stata ultimata, dall'architetto piemontese Giuseppe Viana. Nei pressi al numero 29 la vecchia casa, ristrutturata dalle suore giuseppine, del canonico Giuseppe Littarru, teologo e fine letterato, amico prediletto di papa Giovanni XXIII. Che accolse a Oristano nell'ottobre del 1921 quando Angelo Roncalli era stato inviato in Sardegna come rappresentante di Propaganda Fide". Come ogni anno il 16 luglio, la festa della Madonna del carmine è stata celebrata con la processione e la messa solenne all'aperto dell'arcivescovo Ignazio Sanna, assieme al concittadino Sergio Pintor, vescovo emerito di Ozieri. Arricchita dalla cerimonia di ammissione agli ordini sacri, del diaconato e presbiteriato del giovane oristanese Paolo Baroli. A Paolo, caro figlio di questo quartiere auguri vivissimi di buon apostolato. E come si dice da quelle parti "ad multos anno"!
 
 
 
 
“16 luglio 1974, quando nacque la Provincia”

Al 39° compleanno, con un decreto legge utilizzato senza “la straordinaria necessità ed urgenza”, arriva la cancellazione della provincia di Oristano. Ora ci si prepara a una nuova battaglia, dopo che la Consulta ha definito “incostituzionale” il taglio delle province. La riforma costituzionale andrà comunque avanti e in parallelo sta viaggiando il disegno di legge che riforma in maniera organica gli enti locali, i comuni, le città metropolitane, e trasferisce le funzioni delle province, dando efficienza a tutto il Paese, che è poi quello che interessa i cittadini. Ma quella battaglia dal sapore antico, iniziata nei lontani anni Cinquanta del secondo dopoguerra e del postfascismo, rimane per sempre negli annali della “piccola storia”di casa nostra. A quei tempi l'etica politica” era una cosa seria, e il “Comitato per l'istituenda quarta provincia sarda” era attivamente presieduto da Giovanni Canalis. Medico chirurgo, sassarese a tutto tondo, classe 1884, di Gavino, ingegnere capo della Provincia e di Gavina Manunta, figlia di Andrea, Rettore dell'ateneo turritano, era giunto in città nel 1926. Vincitore del concorso di primario chirurgo all'Ospedale San Martino, in sostituzione di Mario Cominacini, e poi sindaco saggio e lungimirante per più di otto anni. Canalis nel suo incarico di presidente era ben coadiuvato da tutti i rappresentanti delle forze politiche dell'Oristanese: Alfredo Corrias e Salvatore Manconi(D.C), Lelio Muretti (PDIUM), Antonio Pinna Spada(MSI), Piero Soggiu (Psdaz), Alfredo Torrente e Fulvio Sanna(Pci), Ninni Fois(PSI), Alessandro Ghinami(PSDI),Geppetto Loffredo(PLI). Parte subito una vasta campagna informativa, e il comune nel 1950 dà alle stampe con la Scuola Tipografica Arborense di via Cagliari migliaia di copie delle “Note informative sulla costituzione della provincia di Oristano”, un opuscolo di 25 pagine corredato da dati storico-statistici sul territorio oristanese. La città esprime pieno appoggio alla prima proposta di legge presentata in Parlamento il 18 gennaio 1955 da due veri amici dell'Oristanese, il sassarese Antonio Segni, ”lu professò” e il gallurese Mariano Pintus, primo direttore de “Il Quotidiano Sardo” il giornale cattolico fondato in città nell'aprile del 1947 da Giuseppe Cogoni, arcivescovo-editore. Per la nuova provincia era pronto anche l'inno, ”Il Canto Marziale”, composto dal commendatore Antonino Diana, sempre un sassarese, musicologo, brillante pubblicista e ragioniere capo all'amministrazione provinciale turritana. Ancora un segnale di forte vicinanza, che rafforza quel legame religioso- storico- culturale sempre molto stretto tra Sassari e la terra d'Arborea, quasi un “filo rosso” che dura ormai da oltre cinque secoli. Dopo varie vicissitudini la “quarta provincia”sarà istituita venti anni dopo, con legge del 16 luglio 1974. Grazie a due nuove proposte presentate, la prima a palazzo Madama dal senatore Lucio Abis, e la seconda alla Camera dai deputati da Pietro Riccio, Pierino Pinna, Mario Pani e Peppino Tocco. E'nato così quel riassetto del territorio “istituzionale” dell'isola che, come ha sottolineato lo storico Manlio Brigaglia, ”non ricompone soltanto una geografia o ridimensiona le zone secondo un'aggregazione meno centralizzata. Esso recupera il passato, ricostituisce una memoria storica che ha bisogno anche di questi segni concreti per riconoscersi e riemergere.”
 
 
 
 
Quel viale di pioppi all’ingresso della città


Una volta, tanto tempo fa, quando Oristano si apriva al Novecento modernista, i nostri nonni avevano già provveduto ad alberare il viale d’ingresso in città, dal vecchio ponte Mannu alla fontanella di via Tirso, dalla quale sono ancora tanti che attingono l’acqua fresca che arriva dalle sorgenti di Santu Miali. Quel lungo viale sul quale in primavera e d’estate si camminava sotto la volta bianco verde delle foglie dei pioppi, apparve in tutta la sua maestosità alla prima carovana automobilistica del nuovo secolo. Guidata dal commendator Federico Johnson del Touring Club Italiano di Milano, che a bordo di una 16-HP Isotta-Fraschini con meccanici e guide varie, girò la Sardegna da nord a sud. La tappa oristanese, sabato 30 aprile 1904 fu salutata festosamente da tutta la popolazione. La storia di casa nostra racconta che gli oristanesi hanno sempre avuto conti aperti con il verde pubblico, e tra gli amministratori ha regnato a lungo una malcelata fobia per il verde. Nel suo viaggio fotografico sulla città del passato, Peppetto Pau ricorda che si era persino pensato di abbattere le palme Washington che svettano maestose in piazza Roma mentre si facevano fuori i meravigliosi eucaliptus e sulle fronde dei platani di via Cagliari e altre vie cittadine pendeva inesorabile la condanna a morte. Dopo molte tergiversazioni si torna a ragionare, e l’ingresso nord di via Cagliari, finalmente ristrutturato, sarà un bel biglietto da visita per la città capoluogo. Aiuole e rotonde sono state sistemate dopo che per troppo tempo tutto era stato bloccato. Ultimata la progettazione e collaudato l’impianto l’area sarà complessivamente ingentilita da alberi e fiori. Senza dimenticare di ripulire , abbellendola con un significativo murale o meglio ancora con un opera in ceramica ( giusto per ricordare che si sta entrando nella città della ceramica) la parete all’angolo di via Tirso che fa da sfondo alla fontana e alla statua della Madonna. Un felice ritorno al passato e ai giorni che non sono più. Come accadde allo storico dell’arte, Giulio Carlo Arganin in una splendida giornata estiva del secondo dopoguerra, “quando l’ombra verde marezzava l’asfalto”
 
 
 
 
''Partiti, stampa e veleni nella Oristano primo Novecento"

Quando sta per iniziare il ''secolo breve'' del Novecento, Oristano diventa teatro di una significativa esperienza progressista in chiave socialista. Come riferisce Gianfranco Murtas nel suo documentato saggio ''le stagioni dei Liberi Muratori nella valle del Tirso'' (S' Alvure di Massimo Pulisci editrice-Oristano 2009), quella vecchia Oristano tranquilla e moderata, votata alla calma piatta, piena di preti, suore, frati e mendicanti, accoglie nel febbraio del 1897 il primo congresso del partito socialista italiano della Sardegna. Si parla molto di lotta all'analfabetismo, di leghe di resistenza e di cooperative. Ma c' è ancora troppa intransigenza ideologica e lotta di classe, che portano diritti alla sconfitta elettorale: 397 i voti nell' isola per il PSI , soltanto quelli dei tesserati dei quali 39 a Oristano e 6 a Cabras. Nel giugno del 1899 il fatto nuovo al rinnovo della amministrazione cittadina, è la presentazione di una lista radicalsocialista, mentre emerge in tutta la sua forza la figura del nuovo ''dominus'' Enrico Carboni Boy. Più avanti, nel 1904, c'è la prima esperienza di candidatura dell' avvocato Felice Porcella (1860-1931- nato e deceduto lo stesso giorno, 13 gennaio), splendida figura del riformismo socialista che sarà poi sindaco di Terralba, consigliere provinciale e deputato. Infine l'allargamento del suffragio e l'aumento degli iscritti alle liste elettorali (nel collegio di Oristano si passa da 2715 a 13039 votanti), favorisce la vittoria dell'avvocato Porcella, e la formazione della lista progressista alle elezioni comunali di Oristano. Premessa importante per l' elezione nel 1914 dell' avvocato Paolo Loriga (sindaco della Grande Guerra dall' 8 luglio 1914 al 6 febbraio 1919), figlio di Gianpietro, seneghese, classe 1880, uno dei tanti ''fratelli'' Massoni della Loggia della valle del tirso - Libertà e Lavoro,matricola 28453. In questa vivace stagione politica della Oristano primo Novecento che vede sfilare, da nord e sud dell' isola, il 30 aprile 1904 la carovana del Giro Automobilistico della Sardegna del commendator Johnson , c'è spazio anche per l' uscita di alcune testate giornalistiche. Si inizia con ''L' Eco di Arborea'' numero unico stampato dalla tipografia arborense del novembre 1902, per ''sollecitare la costruzione della diga del Tirso presso Busachi''. Seguono il dibattimento di Oristano, due soli numeri stampati dalla tipografia pagani , ''Alle Gogne'' numero unico per le elezioni del giugno 1917, "La cooperazione in Sardegna - direttore Giuseppe Dessì, organo ufficiale delle cooperative agrarie, "Milizia Arborea", tre numeri dall'agosto 1925 per la tipografia Pascuttini, per l'esordio del regime fascista, e "La riscossa economica", foglio quindicinale dell'economia sarda del giugno 1928 a sostegno degli indirizzi produttivistici del regime. Con qualche continuità uscirà infine "Il Giornale di Oristano" ad indirizzo repubblicano e meridionalista.
 
 
 
 
“Con Gigi Iriu si chiude una pagina dello sport oristanese”

“La piccola storia” pugilistica di casa nostra parte da molto lontano, dal secondo dopoguerra, 1945 o giù di lì, quando in città prestava servizio militare Spartaco Ricci (1920-1948), romano verace, pugile professionista, peso leggero tra i più in vista in campo nazionale. Da un maestro di grande virtù un gruppo di neofiti, Almicare Grassi, Alfredo Pisano, Giovanni Deligia, Giovannino Carboni, apprende i primi rudimenti della boxe nella vecchia palestra al campo Tharros. Alcuni di loro avranno anche la possibilità di incrociare i guantoni con i migliori dilettanti di Cagliari e Sassari. Poi Ricci, che intanto in città ha preso moglie, tenta il grande rientro, ma gli va male perchè a Roma perde il match con Aldo Jannilli , che successivamente conquista il titolo europeo pesi leggeri. Tra i ricordi più vivi di quegli anni l’incontro sul ring all’aperto al Cinema Ideal, nell’area dell’attuale complesso So.Ti.Co., distrutto da un’incendio nel 1940, tra Flavio Felas e il cagliaritano Gianni Zuddas, che a Oslo nel 1940 conquisterà il titolo europeo dilettanti pesi gallo. Il match è senza storia per “Kid Felas”, garzone tuttofare al Panificio Ramassini e pugile per passione. Poi nel 1952 nasce la “Folgore Box” e inizia la storia della boxe oristanese scritta con passione infinita da Gigi Iriu. Una storia lunga mezzo secolo, che ha prodotto una serie di ottimi atleti locali, su tutti Franco Tomasi, noto Chichino, l’unico a passare tra i professionisti con ottimi risultati. Oggi si spegne una luce e se ne va colpito da un male che non perdona alla bell’età di ottantasei anni Gigi Iriu, fondatore e animatore della Folgore Boxe. Nipote di quel Pietro Iriu, bella figura di combattente antifascista e militante comunista della prima ora, arrestato e inviato al confino nel 1939.
 
 
 
 
“Moriremo democristiani?”

Dopo che le recenti vicende governative hanno messo a nudo a livello nazionale tutta l’inconsistenza di una politica raccogliticcia e senza obiettivi di largo respiro,con un Partito della Libertà allo sfascio e un partito Democratico in mezzo al guado,in attesa di sviluppi chiarificatori, un interrogativo di fondo ci perseguita: moriremo democristiani? Molto spesso la politica ci ha abituato a questo ritorno al passato, a quell’Italia di qualche legislatura fa. Un Paese normale, guidato da una D.C. che nel bene e nel male, ha garantito con un sistema di alleanze variabili, dal secondo dopoguerra e dal postfascismo agli anni Novanta, quasi mezzo secolo di vita democratica. Poi, con l’avvento del centro destra di Berlusconi tutto si è modificato in peggio: anno dopo anno è penetrato profondamente nella vita politica ma quel che è peggio nel contesto sociale, il vituperato fenomeno del “berlusconismo”, una malattia della quale non si intravede la fine e dalla quale sarà difficile guarire. Se anche avverrà, e tutti gli avvenimenti che stiamo vivendo lasciano ben sperare, si tratterà di una convalescenza lunga e pesante. Perché stiamo parlando di un fenomeno che non è fatto solo di difficoltà politica e di crisi economica acuta che sta annientando lo stato sociale. Ma è un problema soprattutto etico - morale che ha agito in profondità su tutti gli strati sociali di un Paese che non riesce più a trovare la bussola. Ecco perché continua a imperversare sui giornali il fatidico interrogativo “moriremo democristiani?”. Soprattutto perché la politica attuale non sembra avere altra prospettiva che un ritorno al passato. E questo richiamo assume maggior valenza proprio in una città come Oristano, dove è nata la D.C. del secondo dopoguerra e del post fascismo, e che in città è stata spesso incontrastata maggioranza assoluta. Dopo il congresso di fondazione svoltosi il 28 maggio 1944 sessantanove anni fa al teatrino della Sacra Famiglia in via cagliari. Sulla relazione di Antonio Segni, letta da Giovanni Lamberti che sarà poi senatore di Sassari perché “lu professò” indisposto non partecipò al dibattito. Alla presenza dei delegati, che rappresentano venticinquemila iscritti di tutta la Sardegna e con la benedizione dell’Arcivescovo editore Giuseppe Cogoni, come ricorda Francesco Spanu Satta nelle sue memorie.
 
 
 
 
“ Quella volta di Papa Giovanni a Oristano ..."

Nessuno tra i fedeli che quella domenica di ottobre del 1921,novantadue anni fa,ascoltavano la Messa nella cappella dell’asilo infantile delle Suore della Carità in via S.Antonio,avrebbe mai immaginato che il celebrante monsignor Angelo Roncalli,rappresentante per la S.Sede di “Propaganda Fide”in visita in Sardegna,sarebbe stato elevato al soglio papale con il nome di Giovanni XXIII°.Ma quella visita nella città arborense,non è stato un avvenimento casuale.Il futuro “Papa buono”aveva infatti a Oristano un amico carissimo,Giuseppe Littarru,canonico della Cattedrale di Santa Maria,fine letterato,(fratello di Ernestina,più volte assessore democristiana nelle giunte comunali del secondo dopoguerra),al quale era legato da una profonda amicizia.Cementata a Roma in anni lontani,quando Littarru,giovane sacerdote,già laurato in teologia e filosofia,presiedeva al Seminario Romano la formazione sacerdotale di alcuni chierici provenienti da diverse parti d’Italia.tra le giovani promesse della Chiesa di Roma c’è anche Angelo Roncalli,un bergamasco che arriva da Sotto il Monte.Tra i ricordi indimenticabili quella visita compiuta in alcune diocesi della Sardegna da monsignor Roncalli nel 1921.Di questi incontri con i fedeli dell’isola si conservano preziosi resoconti nei giornali sardi e nei periodici cattolici,e in particolare sul “Corriere di Sardegna”.Il futuro Pontefice è quasi un “inviato speciale”del Vaticano.E’lo stesso monsignor Littarru ad accoglierlòo alla stazione ferroviaria di Oristano,dove molta gente assiste incuriosita all’arrivo del gradito ospite di Santa Romana Chiesa.Ma le sorprese non finiscono qui,perché a novanta anni suonati,monsignor Littarru,il 14 settembre 1960 riceve una visita inaspettata ma molto gradita.Alla sua abitazione ,al n.29 di via Carmine,una stradina del centro storico a due passi da Duomo di Santa Maria ,bussa monsignor Loris Capovilla,segretario particolare del defunto Papa Giovanni,scomparso cinquanta anni fa,il 3 giugno 1963.Arriva da Roma per far visita all’amico prediletto del Santo Padre,e con lui si intrattiene a rievocare testimonianze e ricordi di una lunga,fraterna amicizia.Il prossimo 27 aprile assieme a Papa Giovanni Paolo II°,Papa Giovanni XXIII°sarà proclamato Beato ed elevato agli onori degli altari.

 

 
 
“Marieddu, Bauladu e dintorni”

Il primo mare, l’antico profumo del pane, la scuola de “su maistu Pisu”, la cena dell’Ave Maria, l’internazionale ciclistica Sassari-Cagliari. E, ancora, il carretto delle paste di piazza Manno, il professor De Cesaris, “il sacco” di piazza Roma, la straordinaria amicizia con Remo Branca. Sono alcuni dei cento racconti che Mario Virdis, sessantotto anni giovanilmente portati, ha messo in fila nel libro “Marieddu, ricordi di gioventù. Bauladu e…dintorni”. Frammenti di vita quotidiana nella Sardegna del dopoguerra, nei racconti di un ragazzo che “non vestiva alla marinara”(EPDO edizioni di Roberto Cau-Oristano 2012). Confezionato in velocità a prezzi contenuti da una stamperia dei nostri tempi. Un ritorno della memoria a quel”piccolo mondo antico”di casa nostra, tra Bauladu,ai piedi della collina di Santa Vittoria e quella Oristano dei difficili anni Cinquanta del secondo dopoguerra e del postfascismo, in lotta contro il flagello antico della malaria. Che somiglia molto all’Italia di oggi,alle prese con un opera di ricostruzione economica, etica e morale, che ha dell’incredibile. Scorrono veloci i capitoli dall’ingresso a scuola, al passaggio dall’infanzia alle prime responsabilità. La grande cattedra, grembiule nero e colletto bianco, calamaio incastrato nei banchi di legno. Anni indimenticabili di povertà generale, quando non c’era riscaldamento, e nelle case il camino era l’unica fonte di calore. E il pasto quotidiano era un problema per molte famiglie di Bauladu, paese povero tra Campidano e Logudoro, dove l’unico lavoro era “la giornata”in campagna. Poi gli studi superiori, il diploma, il lavoro nella banca tutta sarda, il matrimonio, la famiglia, i giorni della pensione. Con nuovi traguardi e laurea in età matura in scienze della comunicazione nell’ateneo sassarese. Momo Zucca, anche lui adolescente a Bauladu, nella presentazione definisce quello di Marieddu” un romanzo di formazione, in cui l’io narrante ha frantumato in mille sfaccettature il caleidoscopio della vita, nel tempo immediatamente successivo la seconda guerra del “secolo breve”. Un percorso umano e sociale, vissuto intensamente all’insegna del fare. Senza scorciatoie o mezze misure. Com’è nel temperamento di Marieddu. Un ragazzo,come dice lui, ”che non vestiva alla marinara”.
 
 
 
 
"Omaggio all’eclettismo artistico di Giorgio Farris"

“Ho cominciato a comprendere questa città nel primo dopoguerra, circa sessant’anni fa, percorrendola per scoprirla alle luci del primo mattino, giorno dopo giorno, quando gli usci delle case si schiudevano, e percepivi i primi rumori, le prime sensazioni di movimenti e di vita.”Così Giorgio Farris nell’edizione 2006 dei “Diari di S.Croce” ricordava quella Oristano della sua giovinezza, quando nei primi anni Quaranta arrivavano i rumori del secondo conflitto mondiale. E alla città di adozione, Giorgio Farris (1926-2009) artista dall’eclettismo straordinario, scrittore, pittore, incisore, archeologo, è rimasto sempre profondamente legato, descrivendola con passione e calore intenso “ superbamente contadina, produttiva, generosa e ospitale, e che sapeva ancora raccontare nonostante le ferite dei secoli. Una città che aveva conosciuto la guerra, la paura, l’esodo della sua gente, la fame, la malaria, il mercato nero”. Si spiega anche così l’impegno profuso per decenni nella pubblicazione de “Quaderni Oristanesi”, la rivista fondata da Peppino Murtas nel 1982. Una collaborazione intensa, continua e profonda con l’amico di una vita, Peppino Murtas, “sacerdos in aeternum”, con il quale ha lavorato per la crescita culturale e sociale di una città e di un territorio dai tempi lunghi e dalle lunghe attese, che tra ritardi, lentezze e negligenze, non ha conosciuto ancora la strada dello sviluppo. Lo voglio oggi ricordare soprattutto per i suoi tratti essenziali che sono stati la disponibilità, modestia e l’ umanità. Che in un Paese come il nostro, attraversato da una profonda crisi economica e sociale, sono diventati cosa rara, aggravati peraltro da uno stravolgimento etico-morale che non fa ben sperare per il futuro delle nuove generazioni
 

       

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