Anna Marchi

Pittrice

Gli studi prima, la professione di medico, poi, l’hanno allontanata dall’ambiente artistico costringendola anche ad affrontare lunghi periodi di inattività per quanto riguarda le composizioni ad olio; per molti anni, infatti ha dipinto solo ad acquarello e acrilico. La stessa professione medica le ha però anche permesso di viaggiare in Italia e all’estero, per sviluppare quella conoscenza dal vivo essenziale ad ogni artista, e le ha fornito gli strumenti per essere in grado di dare una lettura alternativa o complementare a quella psicoanalitica nella comprensione delle opere d’arte; e ciò ha dimostrato ampiamente nel saggio ”Una famiglia in cornice”, pubblicato sulla rivista “Ecologia della Mente”, dedicato al famoso ritratto “La Famille Bellelli” di Degas. Ha seguito stage e corsi di scultura e di tecnica della ceramica, e ha completato la formazione artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari, dove si è iscritta nel ’91. Durante gli anni dell’Accademia viaggia moltissimo facendo indigestione di contemporaneità, fino a farsi venire la sindrome di Stendhal in una mostra di Dubuffet, a Parigi. Sempre nella capitale francese, entrando nell’atelier del misterioso Moreau, ha un insight: “che cosa c’è di meglio del potersi esprimere in libertà con qualsiasi mezzo, senza preoccuparsi che una cosa sia nuova o che incontri i favori del popolo o del potente di turno? Purché funzioni, per te! E i miti, se li senti attuali, si possono raccontare e anche tentare di dipingere, come faceva lo stesso Moreau”. E ciò non è casuale; i suoi lavori, infatti, presentano numerosi riferimenti al mondo della letteratura, della filosofia e del teatro per la grande passione per la lettura nutrita dall’immensa biblioteca del padre, professore di lettere, latinista e poeta. Le letture si sono sempre tradotte, in lei, in un impulso a dipingere; miti classici, ma anche le saghe nordiche, poeti come Goethe, Yeats, Novalis hanno nutrito la sua fantasia acquisendo sostanza tramite i pennelli. Tanti sono i grandi pittori ai quali si è ispirata e che l’hanno influenzata, tra i maggiori Raffaello, Caravaggio, Tintoretto, Pontormo, Domenichino, e poi, gli impressionisti, specialmente Renoir, Degas e Cezanne, De Pisis e il suo fare velocissimo e poetico, e poi ancora Odilon Redon, Moreau, Gauguin, Kokoska, Sironi; ma anche la pittura romana antica, i pittori dei vasi greci, gli egiziani.

dal Cenno Biografico

 

Alla scoperta delle origini. Questo, in sintesi, il senso della ricerca artistica di Anna Marchi. I temi principali dai quali attinge ispirazione al suo fare pittorico sono tratti dalla cultura classica, dall’estremo oriente, dalle brume del misterioso nord o dal lato oscuro della storia, ma riconducibili tutti al mito e al suo mistero. Il principale soggetto dei suoi quadri è la donna, indagata non solo nella veste sensuale, ma anche, e soprattutto, in quella di origine e fonte di vita; e poi i bambini, vittime innocenti o misteriosi esseri allevati dalla natura selvaggia. Con questi temi e soggetti, declinati nell’elemento che li accomuna, Anna Marchi ricerca l’origine dell’umanità.

Il mito è la cassaforte che custodisce la nostra vera storia, e l’artista, passando in rassegna i miti di diverse culture del mondo, ne ricava la medesima informazione: la parte più sacra dell’umanità, la sua vera origine, risiede nella femminilità; ma oltre l’ovvietà del corpo, nella mente e nell’innocenza, non nella forza bruta che è la sua nemesi; nell’anima. Grazie al suo background di studi e professione medica scava con il più delicato degli strumenti di indagine, il pennello, mezzo di espressione dell’anima. Ed è come un programma d’intenti: dopo aver indagato con gli strumenti della scienza, non resta che farlo con quelli dell’arte attraverso il mezzo e i temi del mito. E così, attraverso la rappresentazione dei miti di diverse latitudini del globo, e di eventi storici che assurgono al valore di miti positivi o negativi, Anna Marchi indaga i segreti dell’anima umana.

Del mito è andata perduta l’esatta chiave di lettura, dell’animo umano non si è mai veramente trovata, nascosta com’è nel profondo, e forse mai si troverà; e se il mito, quindi, è inconoscibile, perché si perde nelle nebbie del tempo, cosa c’è di più inspiegabile dell’animo umano?

Il senso dell’indagine e della ricerca non si esaurisce, sta proprio nella consapevolezza delle difficoltà: lo scopo non è tanto trovare quella chiave, ma scavare, girare le pagine dell’anima, conoscere quanto è profonda e scoprire quanto è inarrivabile attraverso la lettura del mito che, seppur segreto e nascosto, offre innumerevoli sorprese; e ogni volta che si scopre qualcosa, subito si aprono abissi ancora più profondi che spingono ad essere esplorati. Questa indagine è sempre un passare attraverso, un’attraversare una porta che ne apre sempre una nuova; sempre una nuova rivelazione, una nuova sfida, una continua iniziazione.

L’artista ci trasporta nel mondo del mito cercando di spiegare, con esso, le nostre origini, i nostri comportamenti, la nostra evoluzione, la nostra vita e i suoi perché, creando altre domande che non ci porteranno mai alla risposta, perché noi siamo il mito che creiamo, una storia fantastica per spiegare un fenomeno di cui non riusciamo a capacitarci, questo formidabile evento che è la nostra esistenza.

Diretta applicazione di tale ricerca la troviamo negli esiti più riusciti dell’aspetto più intimo del suo lavoro, la ritrattistica: visioni di serena accettazione della vita, con ombre lasciate da un cammino di sofferenza e inquietudine che ancora persiste, inevitabilmente accettato; l’essere. I paesaggi, infine, sono ritratti di una natura tanto ideale da diventare astratte percezioni di selvaggia malinconia.

 

Riccardo Giuseppe Mereu

 

Londra, 8 settembre 2011