2022
“SACRUM TERRAE”
dell'artista editore Roberto CAU
La Stilo & La Piuma Che Rivendicano La Sacralità Della Terra. Il pittore Roberto CAU non si risparmia. E traversa i generi del figurativo reinterpretandoli e modificandoli per dimensione, tecnica e soggetto. Ultimamente, in preda a febbrile creatività, ha ultimato le novantanove tavole di “Sacra Terra” (17 cm x 16 cm ognuna), per narrare una parabola pittorica che rivendica la centralità e la sacralità della terra in opposizione all’uomo/economico imperterrito consumatore. Come scrive l’artista Nando Snozzy in Ultima Spiaggia, noi, l’umanità: “non siamo i padroni del mondo, siamo solo inquilini di scarsa morale”. E quindi -aggiunge il sottoscritto- o prendiamo coscienza dei limiti in seno alla nostra cultura espansiva e di accumulo basata sulla crescita e sostenuta dal consumismo o dallo spreco, (responsabile inoltre dell’amplificazione di ogni povertà e sempre a sud di ogni altro sud), oppure la terra – per quanto titanica - che già patisce per i troppi rapaci umani che le mordono il fegato, muore. Roberto CAU ribadisce il concetto sopra esposto senza retorica, affidandosi al tocco della sua stilografica o a quello di una piuma errante di gabbiano a sigillo di un ammonimento che pochi colori ribadiscono. La rapidità del gesto creativo, la povertà dei mezzi utilizzati vergano la sentenza nei confronti di un’umanità errante forse incurante della felicità da raggiungere attraverso la scoperta dell’equilibrio. L’unico equilibrio che si realizza, però, è la narrazione espressiva dell’arte visionaria del “pittore”. Che mette in guardia; preconizza. Osservando con attenzione, non tralasciando linee alcune o forme o cromatismi impressi sulle tavole, vi sono soggetti filiformi che ricorrono (l’uomo errante e in transito fermato in una fase “astante” della propria marcia che: osserva, pensa, premedita?) e colori che lo sovrastano in forme di cirri o di nembi nelle diverse tonalità di blu o di nero. Compaiono o sovrastano il paesaggio, a volte, anche bibliche lingue di fuoco: veraci rossi della nemesi. Guardando o leggendo l’opera del ”pittore di via Bellini” non posso fare a meno di percepirne la rapidità esecutiva ed espressiva, l’essenzialità, la magia evocativa che accomuno a certa poesia ermetica; e per dimensioni alle chine nipponiche. Non perché le tecniche usate siano le stesse, ma per la capacità di sintesi, gli umori cromatici e le “illuminazioni liriche” che caratterizzano ogni tavola. Ho guardato più volte le novantanove tavole, letto e riletto tentando di estrapolarne metafore e concetti. L’ho fatto in silenzio o accompagnato da diverse colonne sonore (Almost Love dell’impareggiabile Chet Baker; Blue In Green di un più metallico e insuperabile Miles Davis; Sweat Lodge dei sacrali rockers Yaqui; Yukali dell’immortale Kurt Weil.) e ogni volta ho scoperto qualcosa di nuovo. In particolare credo di aver colto il carattere sciamanico dell’opera in ogni dipinto che, pur rasentando la ripetizione, la riproposizione di se stessa altro non era che un esercizio di purificazione: pura catarsi realizzata nel gesto artistico. Si potrà obiettare che le ripetizioni infinite siano più attinenti alla nevrosi. Dipende dalla cultura in cui si opera: altrove la riproposizione del gesto avvicina a Dio o addirittura libera nella bellezza. Roberto CAU è un esteta, riflette sulla condizione umana, non è un manierista. È un essere in viaggio alla ricerca di se stesso e di nuove umanità. Michele Licheri