2022
“MUNDUS”
dell'artista editore Roberto CAU
È stata comunque una piacevole sorpresa vedere i suoi ritrattini delle eterne file di profughi e giovani africani senza mèta e senza speranza. Ho subito percepito l'umanesimo di Roberto che, come me, rifiuta la bugiarda narrazione di molti media con le etichette di "invasione" e "taxi del mare" rivolti alle navi delle ong, ormai uniche ad essere impegnate nel loro salvataggio in mare. Queste parole sono sempre più spesso linguaggio comune, espressioni di una mentalità corrente, difficile da scalfire. Ora questi atteggiamenti vengono talvolta superati anche dalle comunità di paesi e città sarde. È emblematico il fatto che Roberto abbia elaborato le sue cartoline nei giorni dello sbarco ad Olbia della nave Alan Kurdi con 125 migranti, tra cui oltre 50 minori, accolti con benevolenza e generosità dai cittadini olbiesi e dagli stessi bambini del centro gallurese. Il tema migranti nel nostro Paese è poco presente negli eventi e nelle mostre d'arte. Si registra qualche eccezione. Ho visto appena un anno fà a Torino la mostra "Exodus" dell'artista bosniaco Safet Zec: migranti vestiti di tuniche bianche dipinti in grandi teleri negli archi e nelle pareti della chiesa di Santa Maria Ausiliatrice. Figure addolorate, ma possenti su uno sfondo livido. Immagini di una dignità disperata, urlo forte, richiamo indelebile al nostro impegno di umanità.
Nel caso di Roberto siamo, invece, di fronte ad uno stile minimalista, sagome esili che in fila come formiche che fanno spesso "un viaggio di sola andata" perchè trovano barriere, muri. Nel loro cammino si perdono, a volte si "sfanno", precipitando da ponti o scogliere. Muoiono senza nome, come viaggiatori anonimi, folle indistinte che si perdono. Hanno un cimitero che noi non vediamo: il nostro mare (Mare Nostrum) è la loro grande tomba, la loro fossa comune. "Vanno, vengono e qualche volta si perdono nei recessi del creato e dell’abominio umano muoiono o sopravvivono" dice bene il mio amico poeta Michele Licheri in queste pagine. Così vaga questa povera gente costretta dalla fame, dalle guerre e dai cambiamenti climatici, nelle cartoline di questo volume. Spesso le onde marine, tratteggiate con una penna di gabbiano inghiottono la loro moltitudine. Sono stati tanti i naufragi. Per noi assordati dai "tritacarne", dai media e dai social, sono numeri, anzi numeretti. Altre volte salgono ammassati su delle piccole torri per dire: "ci siamo anche noi", oppure minacciano di "farla finita" per estrema disperazione. Camminano in una spiaggia che poi si chiude. Roberto li mette in un vortice, in una "fauce", senza scampo, senza via d'uscita. Oppure stanno immobili, senza speranza, nei portici di una città. La loro disperazione li impietrisce: Roberto li scolpisce in un menhir. Sono "formiche senza nido", "passeggeri senza approdo". I migranti di Roberto sono "esserini", minuti, gracili, ispirano tenerezza come i piccoli insetti, innocui, sono l'opposto di chi li ritrae in modo crudele, con odio di pancia". C' è solo una Speranza e alcuni di loro la portano in trofeo, ci saltano su con gioia. Speranza è il nome del barcone di migranti che suor Giuliana Galli e Francesca Vallarino Gancia hanno voluto portare da Lampedusa a Torino. Messo a nuovo ora sta vicino alla quercia del Centro Mamre, in Barriera di Milano, che da molti anni fa educazione all'accoglienza nelle scuole e sostegno psicologico ai migranti. Le sagome che Roberto mette sempre in fila ci evocano il semplice bisogno di tutte le popolazioni (anche quella italiana) nella storia, hanno fatto semplicemente ciò a cui li ha richiamati il loro istinto vitale o di sopravvivenza: abbandonare la loro terra per sopravvivere oppure per un futuro migliore, in generale per "meticciarsi", per incrociarsi. Così è nato e prospera ancora l'incrocio di storie, di lingue e di culture che fa bello il mondo. Antonio Pinna